Le mie ricerche



La mia montagna nasce dal mare. Nasce, quando avevo quattro anni, da un giro in pattino fino a quell’acqua blu che guardavo sempre dalla riva. Ma ricordo solo vagamente il colore dell’acqua e quella riva che si allontanava sempre più; seduto sulla panchina bianca e celeste, stretto fra due adulti, guardavo affascinato quelle alte montagne così vicine, quasi più vicine degli ombrelloni colorati sulla spiaggia, che man mano si scoprivano al mio sguardo e si alzavano sempre di più. La parola montagna ancora oggi evoca in me questa remota immagine.

Prato del Bove-Gran Sasso
Ebbi la fortuna di poterla frequentare molto presto, perché la mia salute di bambino magro e nervoso aveva bisogno nel periodo estivo di aria di montagna. Da Castel del Monte, dove trascorsi molte estati, mi recavo appena potevo ai margini di Campo Imperatore, solo per restare a guardare quell’immenso altopiano e le montagne che lo circondano. Quando raggiunsi l’età per poter decidere e per potermi muovere autonomamente, tutto il mio tempo libero lo dedicai alla montagna. Erano gli anni delle sfide, delle corse per raggiungere la vetta nel minor tempo possibile, della montagna-palestra. Oggi ricordo quel periodo e il modo di vivere la montagna in maniera piuttosto critica, ma anche con indulgenza, poiché mi rendo conto che era un atteggiamento tipico dell’età.

Corno Grande 1966
All’improvviso, in un assolato pomeriggio d’estate di circa 30 anni fa, scoprii un’altra montagna. Salivo in macchina da Roccamorice verso la Majelletta e mi fermai a guardare dall’alto un gruppo di contadini che cantavano e mietevano un piccolo campo di grano ricavato fra i sassi. Per la prima volta mi accorsi di quei mucchi di pietre, di quelle lunghe mura a secco e di quelle strane costruzioni a cupola disseminate sui campi terrazzati. Svanì in me il desiderio delle cime, delle creste e dei valloni percorsi per tanti anni, per far posto a un vivo interesse per quei piccoli e modesti segni che l’uomo aveva lasciato nel corso dei secoli. Avevo ormai occhi diversi.
La natura e il paesaggio persero parte della loro importanza e la mia attenzione si rivolse al paesaggio segnato dall’uomo, che in ogni piega del terreno e in ogni sasso raccontava storie vecchie di secoli e nello stesso tempo poneva mille interrogativi. Iniziò così la mia attività di ricerca sul rapporto fra montagna e uomo, eremita o pastore che fosse, che mi condusse per i monti d’Abruzzo quasi a scoprirli per la prima volta. Quante volte mi sono meravigliato con me stesso per non aver visto prima quella capanna, per non essermi accorto di quella celletta eremitica, o per aver considerato la grotta del pastore solo un tugurio maleodorante. Prendevo misure, raccoglievo dati, intervistavo la gente di montagna con la segreta speranza che quel materiale un domani potesse essere utile a qualcuno per tracciare la storia della mia terra.
Lo spirito del ricercatore forse privava la mia montagna di quell’alone romantico che aveva per me un tempo e che mi spingeva ad ore di cammino per godere del vento delle cime e degli sconfinati panorami. Ma come riuscire a spiegare l’emozione della scoperta di un eremo nascosto fra le balze rocciose di una valle, di un complesso in pietra a secco sepolto nel folto del bosco, o il sommesso piacere delle notti stellate passate in compagnia dei pastori.
Penso che la ricerca, qualunque essa sia, possa dare significato alla vita di un uomo. Se si svolge nell’ambiente che ami, può dare anche felicità.

Testo tratto dalla presentazione di "Grotte e incisioni dei pastori della Majella", Carsa, 2000.
Nelle mie ricerche sui segni dell'uomo, condotte sulle montagne dell'Appennino centrale nell'arco di diversi decenni, mi sono interessato dei seguenti argomenti:


1-Architettura in pietra a secco



2-Eremi e luoghi di culto rupestri

 
3-Grotte Pastorali



4-Incisioni pastorali



5-Siti Pastorali



6-Mulini ad acqua



7-La montagna e il sacro



8-Vasche di vinificazione rupestri



9-Torchi a trave in grotta



10-Testimonianze agro-pastorali alle alte quote